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Ho postato una foto di me con i 4 ragazzi del Burkina Faso arrivati in Abruzzo, a Penne, per scampare da un paese assediato da gruppi armati islamisti e devastato dalla povertà’, e che ho assunto andando personalmente a cercarli nel loro centro profughi a giugno, e  una miriade di commenti di ogni tipo e’ iniziata ad apparire sulla mia pagina.

Sentimenti di ogni tipo, dall’ammirazione allo scoraggiamento, dall’odio razzista all’ odio antirazzista, hanno riempito la mia pagina facebook.

Quanta tensione in questi commenti, quanto odio, quanta frustrazione.

 

Davvero, non è’ necessario. Dopo aver ripulito un po’ di commenti davvero razzisti, di cui proprio nessuno ha bisogno, scrivo. 

Che questi ragazzi siano il futuro della nostra agricoltura, lo sostengono per primi i miei operai bianchi, eterosessuali, caucasici.

Chi lavora per davvero in agricoltura sa bene che non ci sara’ altro modo possibile di sopravvivere per le aziende agricole,  e che oltre al lavoro degli immigrati ( assunti regolarmente e retribuiti quanto gli italiani ) l’altra grande necessità’ per la sopravvivenza del made in Italy di cui tanto ci piace riempirci le bocche, e’ l’acqua.

Chi ha studiato un po’ di storia, ma poca, sa pure che tutto questo è’ già successo, succede dalla notte dei tempi.

Non c’è’ una opinione da esprimere in merito.

Questi sono i fatti.

Non si tratta di dare giudizi di valore, ma è’ un fatto che ragazzi italiani che vogliano lavorare in  agricoltura non se ne trovano mica poi tanti.

Dicono: “basta pagarli di più”.

Di più rispetto a cosa? A ciò che prevede la legge, a ciò’ che tu imprenditore puoi permetterti di pagare in più rispetto alla legge ( o si pensa che tutti noi imprenditori agricoli siamo caporali che operiamo nell’ illegalità e che ci arricchiamo infinitamente a scapito e sulle spalle della nostra forza lavoro?) , o pagarli di più rispetto a ciò che uno soggettivamente pensa debba valere il proprio lavoro o il lavoro altrui?

Tempo fa ho letto un libro di Luca Ricolfi, La Società’ Signorile di Massa, edito da La Nave di Teseo, che consiglio vivamente nel tempo libero agostano.

Questa società ( per l’appunto l’Italia ) e’ una società’ opulenta in cui l’economia non cresce più e i cittadini che accedono al surplus senza lavorare sono più numerosi dei cittadini che lavorano.

Una societa’ che si regge su diversi pilastri, tra cui

  • l’enorme ricchezza finanziaria accumulata dalla generazione della guerra e post guerra, grazie all’aumento del reddito, un tasso altissimo di risparmio, il debito pubblico e le bolle speculative dei vari mercati finanziario e Immobiliare;
  • una struttura “ paraschiavistica” di chi svolge tutti quei lavori che gli italiani non vogliono più svolgere;
  • l’inflazione dei titoli di studio e l’abbassamento dello standard dell’istruzione che se da una parte ha avuto il merito di rendere l’istruzione più accessibile e democratica,  ha creato anche una classe disagiata di disoccupati volontari che si credono pieni di abilita’e talenti che il mondo del lavoro però’ non scorge. Rinunciano al lavoro in attesa di una occasione migliore  che permetta loro, pensano, di realizzare il proprio autentico se’. E se lo possono permettere poiché la generazione dei loro padri e dei loro nonni ha accumulato tantissima ricchezza, che li mantiene. Si chiamano NEET, giovani che non studiano, non lavorano, non sono impiegati in nessun percorso di formazione.  Not in employment, education, training.

In Italia i Neet sono circa il 30% dei giovani tra i 25 e i 29 anni. Persino la Grecia e la Spagna stanno meglio di noi.

Ecco, questo mi sembra un libro interessante per approfondire senza voler assumere posizioni dogmatiche.

Per il resto, la mia personale esperienza familiare e lavorativa e’  piena di esempi di buona immigrazione cosi come di buona manodopera locale. Non faccio mai di tutt’erba un fascio. Lascio questo esercizio stilistico alla retorica dominante e dogmatica piena di certezze assolute. 

Nei miei primi vent’anni di lavoro ho visto un po’ di tutto:

Ho visto immigrati filippini che ci hanno aiutato ad assistere mio padre e mia zia fino alla fine e che sono stati e sono ancora  famiglia per noi.

Ho visto fidati collaboratori agricoli, autoctoni da generazioni  rubare a mio padre  tutto ciò che potevano rubargli, soldi, gasolio, operai, uve e chi più ne ha più ne metta, mentre in lacrime gli giuravano fedeltà’ assoluta.

Ho visto immigrati polacchi arrivati in Italia coprirsi con le valige per coperte, aiutarmi a ripulire l’azienda dai parassiti sanguisuga tutti local e permettermi almeno di provare a rendere questa azienda agricola  florida e proiettabile nel futuro.

Ho visto questi stessi polacchi insegnare il mestiere agricolo appreso ai miei attuali operai italiani più storici e fidati.

Ho visto nuovi operai italiani avvicinarsi all’azienda senza essere in eta’ di pensione  e farsi strada con serietà e dedizione, e li vedo ogni giorno che vogliono continuare a stare con me.

Ne vedo altri che mi hanno ringraziato per l’opportunità e che dopo un po’ hanno scelto un diverso lavoro, più in linea con le loro capacità’ e preparazioni.

Ne ho visti alcuni a cui ho dovuto chiedere se gentilmente potevano smettere di farsi le canne in campo  durante l’orario di lavoro e che no, neanche a pausa pranzo si potevano  fare le canne.

Infine adesso vedo questi ragazzi, che hanno 20 anni appena e per ora, quando lavorano,  mi dicono solo Grazie.

Io dico “Grazie a Voi”.